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Intervista a Paolo Roversi

Le suggestioni poetiche delle Polaroid di Paolo Roversi bisbigliano storie dal fascino elegante. In bilico tra sogno e realtà nelle stanze di Palazzo Reale a Milano.


Storie, la personale dedicata al fotografo Paolo Roversi (Ravenna, 1947), si inscrive nel palinsesto della seconda edizione del Photo Vogue Festival, che continua a Base Milano con Fashion and Politics e lo scouting di PhotoVogue.


“Possiamo, attraverso la fotografia di moda, criticare il nostro sistema? Possiamo parlare di cultura? Il nostro intento è quello di riportare dei contenuti all’interno del linguaggio della moda”, afferma Alessia Glaviano, direttrice del festival e curatrice della mostra allestita nella preziosa cornice di Palazzo Reale. “Linguaggio della moda in cui esiste molto altro. ‘Vogue it’s a way of life’: non si occupa solo di moda, è uno stile di vita”.


“Alessia è venuta a Parigi a rivedere tutti gli archivi, dai quali piano piano sono emerse alcune immagini e serie di foto”, dice Roversi, “che hanno fatto nascere l’idea di dividerle in storie e, voilà!, la mostra ha preso la sua fisionomia, formandosi lentamente”.

Nove temi si articolano in altrettante stanze di Palazzo Reale, ospitando storie che raccontano la suggestiva poetica della luce di Paolo Roversi negli anni e in luoghi diversi, durante i quali la stampa su Polaroid largo formato è divenuta la cifra stilistica di una sublime ricerca artistica.


“La luce per me è un sentimento, un feeling, un’impressione. La tecnica invece è qualcosa di più meccanico, serve a realizzare la foto, bisogna conoscerla bene, per saper come servirsene”, afferma Roversi.

Il linguaggio fotografico di Roversi vanta decenni di studio della tecnica e sperimentazione, un patrimonio di fusione tra arte, moda e fotografia, ben difficile da eguagliare in un futuro dominato prevalentemente dal digitale.


“La fotografia digitale non stravolge tutto il mondo della fotografia, si potrà imparare a usarla bene, raggiungendo gli stessi traguardi della Polaroid”, sostiene Roversi.

“Il linguaggio fotografico non è molto cambiato con il digitale, ciò che è cambiato è il rapporto con la fotografia del pubblico in generale, delle persone non professioniste. La fotografia è usata in modo molto più ampio da persone non addette ai lavori e porta a una maggiore confusione tra chi sa usare questo linguaggio e chi proprio non lo sa parlare. Le fotografie su un telefonino sembrano tutte belle, questo è il pericolo del digitale, ma poi quando le si analizza ce ne sono poche buone. Un professionista riesce a fare questa distinzione. Ai giovani consiglio di iniziare dalle origini, la fotografia è un linguaggio complicato, bisogna studiarlo a fondo, per comprendere come utilizzarlo. Mentre per quanto riguarda la riproducibilità dell’opera, non è un problema che a mio parere decreta se un’immagine è o meno un’opera d’arte”.

Le eleganti atmosfere oniriche e sensuali ricreate dagli scatti di Roversi sembrano creare un continuum ideale con le mostre dei due grandi maestri della pittura attualmente esposti a Palazzo Reale, Caravaggio e Toulouse-Lautrec, portando il linguaggio della fotografia a un livello sempre più alto nella storia contemporanea dell’arte.


‒ Elena Arzani

(Immagini: Foto di Mr Roversi, per gentile concessione dell'artista. Scatti n. 2 e n.3 dall'alto verso il basso: Elena Arzani)

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